lunedì 24 ottobre 2011

CINA - TUTTE LE STRADE (CINESI) PORTANO A SHANGHAI


FORSE LA CITTÀ A CRESCITA PIÙ RAPIDA DEL GLOBO, SHANGHAI CI RIPORTA A MOLTI ‘ALTROVE’: AMERICA, EUROPA, ASIA. TUTTO - ARCHITETTURA, CUCINA, ARTE - QUI SEMBRA AMALGAMATO IN UN UNICUM VOLUTAMENTE INTERNAZIONALE. 
FIN DALLE SUE ORIGINI.

Tutte le strade portano a Shanghai’, si potrebbe dire, volendo scimmiottare il detto degli antichi Romani e, soprattutto, il disegno filosofico-architettonico di Victor Sassoon, mecenate/imprenditore miliardario che volle l’Hotel Cathay, rinominato Peace nel 1956. Per capire il suo disegno basta entrare nella hall che connette la reception alla sala da tè e al corridoio che porta alle camere. Sarete catapultati indietro nel tempo, verso il periodo scintillante dell’Art Deco e verso le vostre prime lezioni di geometria. Quasi come in un caleidoscopio, qui nessuna linea è lasciata al caso. La struttura ottagonale, sul pavimento e sulla cupola-lucernario, porta irrimediabilmente lo sguardo al centro. Disegno volutamente simbolico, tracciato nel periodo in cui la città era il centro del mondo, almeno di quello asiatico, al terzo posto per la finanza dopo Londra e New York. Qui succedevano cose, e Mr. Sassoon ha voluto ricordarcelo per l’eternità. L’Asia è sempre stata Asia-centrica, rivolta verso il proprio ombelico, anche se oggi sembra voler imitare l’Occidente in mille maniere - la moda, le finte bionde, le auto importate, un inglese sempre più diffuso - e anche quando nei momenti di boom economico si è dovuta/voluta aprire al mondo di fuori. Mentre gli architetti tiravano le righe del Cathay, dell’epicentro dell’universo, il jazz arrivava in città. Accolto con successo, perché Shanghai, a differenza della millenaria Pechino, non aveva ‘muri della tradizione’ che impedivano l’accesso al nuovo e all’importato. La città era appena nata, costruita quasi a tavolino dopo una spartizione commerciale fra inglesi, francesi e giapponesi, sulle ceneri di un’accozzaglia di prosperosi villaggi in cui si viveva di riso, pesca e tessitura. Terreno fertile, su cui costruire il Nuovo. La strategica posizione geografica, sul delta dello Yangzi, ne faceva una ‘portineria’ naturale. Non a caso il Cathay fu costruito su un gomito della grande autostrada d’acqua, nel cuore del Bond, la via più ‘vecchia-Europa’ (e/o imitazioni americane e russe) d’Asia. Dalle sue sale si poteva - e ancor oggi si può - ascoltare la sirena delle imbarcazioni che si trascinavano sulle acque del fiume. La sua sala da tè - Mr. Sassoon era un cultore maniacale della bevanda; sfogliate le decine di pagine del menù odierno riservate al tè, capirete tutto o quasi di questo luogo - era una specie di sofisticato salotto dal quale, mettendo il naso fuori dalle finestre, si poteva capire chi era arrivato in città. Entrare qui, allora, non era cosa per tutti, ma se ce la facevi indossavi immediatamente un accappatoio invisibile che profumava di élite, di eletto fra gli eletti. E accedere al salone da ballo, poi, era una specie di terno al lotto, riservato solo a chi era Davvero Qualcuno e aveva prenotato con mesi d’anticipo. Al Jazz Bar suonavano band arrivate da Saint Louis, Louisiana, seguite anni dopo da gruppi locali che avevano imparato e imitato alla perfezione il sound giunto dall’altra parte della terra. Poi arrivarono i giapponesi, che trasformarono l’hotel in una specie di campo di concentramento per diplomatici stranieri. Poi i comunisti, e Mr. Sassoon lasciò la sua intrasportabile, mastodontica creatura Deco e se ne andò a godere gli ultimi dieci anni di bagordi della propria vita alle Bahamas. Poi il capitalismo alla cinese, e l’hotel è risorto dalle ceneri, tornando a fasti di antica memoria.






Il primo periodo del boom economico e di immagine internazionale della città, alla fine degli anni Venti del secolo scorso, deve essere stato un momento in cui i ricchi con ego importante, sogni di eternità e ambizioni di riconoscimento competevano per attribuirsi la centralità del mondo. Nel suo ‘piccolo’, negli anni Cinquanta, epoca comunista che rivedeva le cose, il meno quotato Park Hotel, allora l’edificio più alto della città a qualche isolato dal Cathay-Peace, fu riconosciuto come vero centro da cui calcolare le distanze, come chilometro-zero di Shanghai. Lo ricorda, con tanto di lucetta rossa nel cuore, una mappa metallica dorata nella hall dell’albergo. Qualunque fosse o sia il centro dei centri - dettaglio da ingegneri -, certo è che a Shanghai c’è da divertirsi a giocare con linee e geometria. Uscite dal Peace Hotel, per esempio, e raggiungete la base (ma attenti a non calpestare l’erba!, altrimenti un soldato vi sgriderà dicendovi cose brutte) della statua di Mao. Tracciate una linea ideale fra la sommità del tetto del Peace (77 metri d’altezza), il naso di Mao e la sfera superiore della Pearl Tower, il simbolo più recente, Manhattan-style, della città-camaleonte, dall’altra parte del fiume, nel quartiere di Pudong. Con questo esercizio virtuale da geometra avrete connesso, in qualche centinaio di metri, le tre epoche fondamentali della crescita urbana: Deco scintillante da città leader nel panorama asiatico, rivoluzione comunista, neocapitalismo architettonico per stabilire, ancora una volta, il primato (stavolta reale: la Cina, economicamente e demograficamente, travolgerà tutto e tutti). Tratta questa linea, percorrete la sua perpendicolare, trascinandovi lentamente lungo la Grande Passerella pedonale urbana, East Nanjing Road. Lì le linee ideali, e quelle reali dell’architettura, verranno continuamente spezzettate dal viavai umano, di locali e di turisti, intenti a fare lo ‘sdruscio’ tra vetrine di marchi presenti in ogni angolo del globo e quelle dei primati locali (il primo grande magazzino di abbigliamento di Shanghai, il primo dedicato al cibo). Se, poi, porterete in giro il vostro volto da turista occidentale - soprattutto se maschile - in mezzo all’umanità brulicante, la vostra linea retta, in direzione della People’s Square, sarà tutta una Z. Sì, perché dovrete fare un incessante slalom tra spacciatori di shopping (borse, orologi falsi), di droghe (mediorientali e russi che la polizia pare lasciar lavorare indisturbati) e di compagnia (graziose fanciulle free-lance che vi inviteranno a ‘bere un caffè’, guarda caso nel bar di un amico-complice che vi presenterà un conto esorbitante; indovinate chi dovrà pagare…). Già la seconda volta che si percorre la lunga via pedonalizzata, visti questi incontri così stimolanti, si viene irrefrenabilmente presi dalla tentazione di infilarsi sul trenino per turisti pigri, quello che per un paio di yuan vi trasporta da un capo all’altro di East Nanjing Road senza salti agli ostacoli. Ma così facendo si rischia di perdere il piacere degli incontri autentici, come ad esempio le occasionali adunate danzanti dei shanghainesi di mezza (o di terza) età. Almeno una volta alla settimana, verso l’ora del tè, si radunano più o meno a metà della grande via. Un sassofonista si piazza su un balcone e intona hits globali, un po’ da crociera, che fanno muovere agilmente le anche e tutto il resto a qualche scatenato Fred Astaire locale. Grande spettacolo, veracissimo, e se sapete ballare e vi butterete nella mischia lascerete una traccia memorabile nei racconti dei vecchietti locali. Uno di loro, saputo che ero italiano, ha iniziato a intonarmi Santa Lucia in cinese, esperienza impagabile, uno di quei rari momenti che ti fa dimenticare tutte le fatiche di un viaggio in Cina.






Alla fine del Grande Imbuto, di East Nanjing Road, si apre la Grande Piazza, ampia e dai contorni qua e là difficili da distinguere, sparpagliata a macchia d’olio e dominata, al centro, dal bel Renmin Park. Laghetti, coppiette, vecchietti che fumano fino all’ultimo pezzetto di polmone rimasto sano, giocatori di carte che investono tutti i loro averi, rane che si accoppiano sconciamente sotto gli sguardi dei bambini, qualche statua di Gloriosi Eroi del Popolo. Lì vicino, impossibile non vederla, l’ingombrante sala delle esposizioni per la pianificazione urbana, grande contenitore di un diorama gigantesco, in scala quasi 1:1 (città nella città), in cui se non avete ancora capito come vanno le cose da queste parti (vecchio = muffa da abbattere con le ruspe; nuovo = benessere scintillante, cemento a go-go, progetti faraonici sventra-vecchi-quartieri) vi farete al volo un’idea sulla Shanghai che i Sommi Pianificatori hanno stabilito in nome di tutti. Abitanti di vecchi quartieri luridi e pulciosi inclusi, in pratica deportati - ‘trasferiti’, secondo la diplomazia linguistica tutta cinese - in altri quartieri per far spazio ai sogni di grandezza di architetti, investitori e politici tutti improntati al Santo Futuro. Sul diorama date uno sguardo a com’era la città-villaggio agli inizi, e poi correte (con la metropolitana) alla base della Pearl Tower. Farete così un viaggio nel tempo che sa di teletrasporto. In meno di un secolo, in pratica, Shanghai ha bruciato tappe architettoniche come poche altre città del pianeta, nel bene e nel male. Certo è che, arrivandovi, si può provare una forte sensazione di déjà vu. Camminare a Pudong, lungo Century Avenue, ai piedi dei suoi grattacieli, oppure nei pressi delle strutture matte erette per l’Expo dell’anno scorso, vi catapulterà a Manhattan, o in qualche altrove in cui arte moderna e architettura sembrano essersi messe d’accordo per stupire a tutti i costi il piccolo essere umano. E se volete un po’ di vecchia Europa, elegante e a volte magnificente, basta passeggiare lungo il Bond, naso all’insù, per fare ooohhh a ogni palazzo mai umile, sempre volutamente intriso di messaggi importanti (ricchezza, eternità, spesso buon gusto). Poi, per un’Europa più raccolta, meno impegnativa e più amichevole, fate una bella camminata, partendo dalla Piazza del Popolo e percorrendo gran parte di Central Huaihai Road, quindi di Hengshan Road. Le vetrine - le solite, globali -, con i Grandi Nomi del primo tratto, assumeranno fisionomie più gentili, così come l’architettura residenziale, nell’ultima parte del tragitto. Gironzolate dalle parti di Dong Ping Road, in un mix tra Cina che fu e Quartier latin parigino, tra panetterie che sanno quello che fanno e negozietti da cui è quasi impossibile uscire a mani vuote. Oggetti non dedicati all’estrema sopravvivenza, ma al bello & futile. E poi ristorantini per palati esigenti. Insomma, un po’ di simil-Francia, nel cuore di quella che fu la Concessione Francese, quartiere-ghetto nato a metà Ottocento per scopi commerciali, all’epoca specie di isola felice per stranieri intoccabili (da parte delle leggi cinesi). Oggi tirato a lucido, con casette basse da farci un pensiero, se solo i costi non avessero prezzi da Manhattan. Poi, mangiata una baguette adeguatamente croccante, ricordiamoci che siamo in Cina. E inseguiamola.






Missione non facile, quella di inseguire la ‘vera Cina’ a Shanghai, soprattutto se per vera Cina intendiamo quella che fu. Un po’ perché la città, paragonata ad altre, millenarie, del colosso asiatico, è una specie di neonata, e un po’ perché, come detto, il nuovo avanza a velocità della luce. E sembra battere perfino quella della stampa editoriale. Investendo una trentina d’euro per acquistare l’ultimissima, recentissima, aggiornatissima edizione della Lonely Planet, su cui stanare un quartiere ‘vero, autentico, vecchio’, finirete con il prendere la metropolitana fino a Quibao, nella periferia sud-occidentale di Shanghai. Il quartiere-villaggio è indicato come città antica, ma, scusate lo snobismo europeo, forse gli australiani della Bibbia per Viaggiatori hanno poco chiaro il concetto di antichità. Oppure, più probabile, il trasformismo cinese batte, con tempi olimpionici, le stampe tra un’edizione e l’altra delle guide. Certo è che, sbarcando nella città antica, non si ha esattamente l’impressione di essere giunti a Pompei. Il quartiere, specie nei fine settimana, pare una specie di Disneyland per il turismo cinese. Architettura tirata a lucido, ma in pratica invisibile all’occhio umano, ricoperta com’è da bancarelle in cui si vende tutto ciò che è ipotizzabile vendere. Souvenir e gadget di natura assortitissima, ma soprattutto quantità industriali di cibo, a volte di difficile interpretazione per l’occhio/naso occidentale (amate i quiz? provate a riconoscere, nella mischia, la radice di fiore di loto riempita con riso e ricoperta da sughetto dolciastro appiccicoso). Quasi tutto, qui attorno, sembra divertente, inclusi i giretti in barca lungo il canale, per sentirsi un po’ in gondola. Ma, di certo, non antico. Sensazione identica che si prova nello sterminato bazar che ha fagocitato gli antichi giardini Yuyuan, in tutt’altra zona di Shanghai, a due passi dalla cosiddetta ‘città vecchia’ (altra datazione da rivedere). Il mercato è una vorticosa babele clonata da quella di Quibao (o il contrario?), ma se riuscirete a svicolare, come anguille, tra la folla dello shopping e a infilarvi in uno degli ingressi dei giardini annuserete la tanto ricercata antichità. Architettura d’altri tempi, tutta cinese, con micro-laghetti che fanno da casa alle carpe, tetti arricciati, belle piante, rocce-scultura, angolini appartati (ma attenzione al gruppo di turisti giapponesi, incombente dietro l’angolo). Tutto ciò vi sembrerà terribilmente antico, soprattutto se vi arriverete dopo un giro mattutino all’Expo (sveglia all’alba, nei fine settimana: per visitare il Padiglione Cinese ci vogliono due ore e mezza di coda) o, almeno, alla base dei grattacieli di Pudong. Se era la Cina che volevate - quella idealizzata, dei dépliant -, la Cina, finalmente, avrete trovato.






Ente Turismo Cinese
Via Nazionale 75 - 00184 Roma
Tel. 06 4828888
Fax 06 48913429
www.turismocinese.it

IN RETE
http://www.travelchinaguide.com/cityguides/shanghai.htm
Sito in inglese con svariate informazioni sulla città, dagli alberghi ai ristoranti, dai musei agli eventi, mappa della metro
http://en.wikipedia.org/wiki/Shanghai_cuisine
Sito in inglese di Wikipedia dedicato alla famosa cucina di Shanghai
http://www.historic-shanghai.com/?p=43
Pagina in inglese dedicata al jazz di Shanghai, nel passato e odierno


DOVE DORMIRE
Per un soggiorno da sogno a Shanghai concedetevi il lusso offerto dal fantastico Peace Hotel (20 Nanjing Road East, www.fairmont.com/peacehotel, tel. 021-63216888, fax 021-63291888, peacehotel@fairmont.com), all’angolo tra la parte finale di East Nanjing Road e il Bond. Il massiccio edificio, classe 1929, nasconde un tesoro di magnificenza ed eleganza. Gestito oggi dalla catena alberghiera canadese Fairmont, ma di proprietà statale, è forse l’hotel più prestigioso di Shanghai. Con 270 stanze e suite, ricche di tutti i comfort (caffè Illy, internet, vasca da bagno con televisore), a partire da 1929 yuan a notte, è un tempio dell’Art Deco. Le nove suite sono ispirate ad altrettante nazioni: Cina, Gran Bretagna, America, Italia, India, Giappone, Spagna, Germania e Francia. Due i ristoranti, entrambi eccellenti: The Cathay Room (9° piano) per la cucina internazionale e la colazione a buffet, con vista panoramica su Pudong e sul fiume Yangzi; Dragon Phoenix (8° piano) per la cucina cinese, ottima e curata, in una grande sala con belle decorazioni. Riaperto nel 2010 dopo tre anni di restauro, è ricchissimo di dettagli: marmi di Carrara, lampadari dell’epoca, decorazioni con levrieri Deco - simboli dell’hotel -, oggetti di vetro Lalique. Interessante la galleria-museo, con testimonianze dello sviluppo dell’albergo e dei numerosi VIP che vi hanno alloggiato.


DOVE MANGIARE
A Shanghai, un po’ come in tutta la Cina, i ristoranti sono aperti ogni giorno e si mangia presto. La mancia non è comune (a volte vi verrà restituita!) e quasi dappertutto si fuma ai tavoli, nonostante la legge lo proibisca. Infinite possibilità per la cucina cinese, in tutti i quartieri. Per quella shanghainese doc Lynn (99-1 Xikang Road, Jing’an, tel. 021-62470101, dalle 11,30 alle 14,30 e dalle 17,30 alle 22, 30), in un bell’ambiente Art Deco, oppure Yè Shanghai (338 Huangpi Road S., Xintiandi, Luwan, tel. 021-63112323), con dim sum brunch nei fine settimana e musica dal vivo a cena sempre nei weekend (non economico, dai 250 yuan in su). Per piatti dello Sichuan, Pin Chuan (5° piano, Plaza 66, 1266 Nanjing West Road, tel. 021-62888897), mentre per un mix di cucina shanghainese, cantonese e dello Huaiyang, Original Cuisine (63 Miaopu Road, Pudong, tel. 021-58609636). Nel cuore della Concessione Francese, vicino alla stazione della metro Hengshan Road, c’è solo l’imbarazzo della scelta per una cucina a 360°. Per una vera boccata d’aromi francesi, La Crêperíe (1 Tao Jiang Road, tel. 021-54659055), locale carino e accogliente, propone ottime crêpe e vini della Bretagna. A pochi passi Simply Thai (5C Dong Ping Lu, tel. 021-64459551, dalle 11 alle 23) offre piatti classici tailandesi in un bel locale. Nella stessa zona, la Brasil Steak House (Lot 8, 4 Hengshan Road, tel. 021-62559898) è una churrascaria brasiliana con servizio a rodízio (portate non-stop sugli spiedi direttamente a tavola) e buffet di antipasti, contorni e dolci, a prezzo fisso (88 yuan a pranzo, oltre i 100 a cena). Per un espresso italiano, in tutt’altra zona (vicino a People’s Square), Città (318 Fuzhou Road, tel. 021-51782065) ha anche piatti di pasta e pizza. A qualche isolato, l’ottimo e semplice ristorante giapponese Sagami (666 Fuzhou Road, tel. 021-63917618, dalle 11 alle 23) propone piatti saporiti ed economici, da un menù ampio, con qualche influsso cinese.


SHOPPING
Svariati oggetti interessanti possono essere acquistati in alcune boutique raffinate della Concessione Francese. Il Zen Li Fe Store (18 Yueyang Road, tel. 021-54665690, con altri due negozi in zona, entrambi al 7 di Dong Ping Road), vende begli oggetti ‘zen’: essenze per ambiente, artigianato, oggetti ricchi di design per decorare la casa. A breve distanza, l’interessante Pureland (1 Hengshan Road, quasi all’angolo con Dong Ping Road) ha ‘mobilio creativo’, in particolare colorate ceramiche dipinte con motivi cinesi, una volta tanto non kitsch. Non che offra prodotti caratteristici cinesi, ma vale la pena visitare la filiale locale di Alfred Dunhill (796 Middle Huai Hai Road, sempre nella Concessione Francese). Il negozio - home, come viene indicato in maniera altisonante - è all’interno di un bel complesso storico lungo la ‘via delle belle vetrine’ ed entrandovi, tra borse da viaggio e accessori di lusso, godrete di un’atmosfera da elegante museo. Chi cerca strumenti musicali a corda dovrebbe visitare la parte della Città Vecchia nei dintorni della fermata Yuyuan Garden (linea 10): tra violini Stradivari-style e strumenti tradizionali cinesi (violini, flauti, piano) c’è solo l’imbarazzo della scelta.


IL VIAGGIO
IL VOLO
Cathay Pacific (http://www.cathaypacific.com/cpa/it_) ha ottimi voli dall’Italia (4 da Milano e 7 da Roma ogni settimana) per Shanghai, con coincidenza a Hong Kong di circa un ora, a partire da 835 euro in economy. Eccellente il servizio di bordo e una business class rinnovata di recente, confortevole come poche altre.


COME MUOVERSI
Con oltre dieci linee, l’ottima metropolitana connette tutte le zone di interesse turistico, così come il centro ai due aeroporti (con il veloce treno Maglev per quello internazionale di Pudong, partendo dalla stazione Longyang della linea 2). I biglietti si comprano nelle stazioni presso i distributori automatici in inglese e il costo (pochi yuan) varia a seconda della distanza. Il biglietto va fatto scorrere sul sensore delle colonnine d’ingresso e inserito nelle medesime all’uscita. Da evitare le ore di punta, se possibile. I taxi sono relativamente economici ed efficienti, dotati di tassametro che emette la ricevuta per l’importo dovuto (di solito non occorre contrattare), difficilmente reperibili nelle ore di punta e all’uscita dei locali notturni più frequentati. È bene avere con sé un biglietto da visita o una guida con i caratteri in cinese da mostrare all’autista: nessuno parla inglese.






Fuso orario
Sette ore in più rispetto all’Italia, sei quando da noi è in vigore l’ora legale.

Documenti
Passaporto con almeno sei mesi di validità. Visto da ottenere in ambasciata o consolato (o presso le agenzie apposite), valido 30 giorni. È possibile ottenere l’entrata multipla (30 + 30 giorni), che però vi impone di uscire dal Paese dopo un mese, per poi rientrarvi.

Periodo migliore
Durante la nostra primavera e il nostro autunno, pressoché corrispondenti a quelle della zona di Shanghai.

Lingua
La lingua ufficiale è il mandarino, ma a Shanghai è diffuso il dialetto locale (‘Shanghainese’, del ceppo Wu). Poco diffuso l’inglese, se non tra alcuni giovani e in ambienti turistici.

Moneta
La moneta ufficiale è lo Yuan (RMB): un euro ne vale 8,50 circa.

Prefissi
Il prefisso internazionale per la Cina è 0086, quello di Shanghai 021. Per chiamare l’Italia: 0039.

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