mercoledì 7 marzo 2012

VIETNAM - LA SIGARETTA DI HO CHI MIN


Viaggio attraverso il tabacco vietnamita

Se non fosse per una lingua marziana, e per i caratteri somatici orientali, per certi aspetti il Vietnam potrebbe assomigliare all’Italia degli anni Settanta. In particolare nei rapporti con il fumo. Tutti che fumano di tutto - pipe escluse, una vera rarità nel Paese asiatico -, dovunque. Legislazione e propaganda antitabagista inesistenti, cartelli no smoking vere mosche bianche in un panorama generale di tolleranza generalizzata alla nicotina. Situazione un po’ machista, a essere sinceri: la stragrande maggioranza dei fumatori sono uomini, mentre le donne stanno a guardare. Secondo la tradizione una donna vietnamita che si rispetti, nonostante l’effettiva parità in tutti campi voluta dal Partito Unico (donne muratore, donne spazzino, donne riciclatrici di rifiuti), non fuma, e ancor meno beve alcolici. Le eccezioni, però, convivono nella surreale società vietnamita, fatta di molteplici contraddizioni, soprattutto nelle grandi città (Hanoi e Saigon, quest’ultima oggi Ho Chi Min City) e tra le minoranza etniche, in particolare nelle montagne del Nord. Qui, tra le belle colline di Sapa, a dieci ore di treno da Hanoi e a pochi chilometri dal confine con la Cina, si distendono ampie piantagioni di tabacco, e le donne del posto, appartenenti alle etnie più numerose - H’mong, Dao - fumano come gli uomini. Non sigarette, ma tabacco puro, attraverso grandi pipe (specie di bong) ricavate dalle canne di bambù. La sensazione, almeno per chi aspira per la prima volta da una di queste gigantesche ciminiere, è di fumare un intero pacchetto di sigarette in una sola boccata. I novizi ci devono andare piano.



Fumo dappertutto, dicevamo, gli anziani e i giovani i più accaniti consumatori. Nei treni, negli autobus, nei ristoranti, negli internet-point, oggi numerosissimi grazie ai bassi costi e agli adolescenti che adorano chattare (in vietnamita), ascoltare musica (vietnamita) e/o rimbecillirsi su qualche videogame. Per pura mancanza di curiosità, o per problemi di lingua, nessuna finestra viene aperta sul resto del mondo, navigando nella rete, nonostante la disponibilità tecnologica e la libertà lasciata dal Partito (ma niente siti sozzi, che vengono automaticamente oscurati dalla mano del censore nascosto che tutto controlla). Ogni via di ogni città vietnamita, anche della più piccola e di campagna, sembra avere uno di questi locali pubblici, quasi tutti forniti da moderni computer collegati con l’ADSL, altro sintomo di un Vietnam rampante e proiettato verso il futuro. Ogni postazione di computer è dotata di webcam, indispensabile per i videocorteggiamenti, di cui i giovani vietnamiti vanno pazzi, e di posacenere. I pochi cyber-café privi di quest’ultimo accessorio, sostituito dal cartello no smoking, vere rarità, sono quelli più moderni, frequentati soprattutto dagli occidentali, più esigenti in materia di separazione delle carriere (fumatori\non fumatori). Oppure quello di Vung Tau, cittadina di mare a breve distanza da Saigon, dalla quale vi scrivo. La proprietaria ha appena preso a schiaffi sulla nuca un adolescente che si ostinava a fumare, di nascosto (male), nonostante il suo chiaro NO. Il tipo, dopo un po’ di punizione corporale all’ottocentesca, è stato poco gentilmente accompagnato fuori, trascinato per la maglia a male parole.


In autobus, in treno, al ristorante
Non tutti i vietnamiti, però, sembrano essere determinati quanto la gentildonna che ho appena visto infierire sul ragazzino. In treno e in autobus tutti accendono di tutto, assolutamente incuranti o ignari di come la loro sigaretta (o pipa di bambù: sì, ho visto accendere pure quella, sul treno da Sapa ad Hanoi; anzi, a bordo circola pure un ambulante che noleggia pipe e vende tabacco ai passeggeri, alla faccia dell’igiene) possa dare fastidio, o meno, al vicinato. Chi non ama la nube di fumo si sposta o, soprattutto se donna, subisce in silenzio, senza troppe proteste.
Oltre a Sapa, le piantagioni di tabacco più importanti si trovano nella provincia di Dông Nai (per la precisione nel distretto di Xûan Lôc), nel Centro-Sud del Vietnam, oppure attorno alla bella cittadina collinare di Dalat, anch’essa nel Centro-Sud e sede di sterminate piantagioni di caffè (il Vietnam è il secondo Paese produttore di caffè al mondo). Coffee & cigarettes, alla Jim Jarmush, per intenderci.




Un po’ come per le birre - oltre ai marchi internazionali e a quelli locali più importanti, diffusi dappertutto -, ogni regione o città ha le proprie sigarette. E ogni giorno sembrano nascere nuovi nomi prodotti in loco. A Sapa troviamo le Sapa, a Nha Trang le Nha Trang, a Dalat… - beh, sicuramente avete già indovinato. Tutte queste, così come altre marche minori (7 Stars, Prince), sono terribilmente economiche - costano appena 1500 dong, un decimo di dollaro - ma piuttosto scadenti. I cultori della nicotina che si ritengono persone di buon gusto preferiscono, semmai, le Bastos, un po’ le MS dei vietnamiti: di origine francese, fumate dai legionari che combatterono in Congo, sono buone, forti ed economiche. Prodotte in joint-venture con la Francia, si trovano in pacchetti rossi, blu (quelli più quotati) e, per i palati delicati, al mentolo (consumate perlopiù dalle donne). Un’altra marca locale piuttosto diffusa è la Vinataba, la quale produce anche per altri marchi e ha una grande fabbrica a Nha Trang. E poi, impossibile non citare le sigarette fumate dal Padre della Patria, Ho Chi Min: le 555. Considerate ‘chic’, se ne trovano di due tipi: quelle prodotte in loco da una joint-venture inglese, ma piuttosto fiacche, e quelle fatte e importate da Singapore e Hong Kong, più forti e durature. Tra i marchi multinazionali le onnipresenti Marlboro, White Horse e le inglesi Dunhill. Per i prezzi vale la stessa legge applicata a ogni merce o servizio in tutto il Vietnam: tot per i vietnamiti, doppio tot per gli stranieri (un tot e mezzo per il milione di vietnamiti fuggiti negli USA durante il conflitto americano, e che oggi ritornano, gonfi di quattrini). Dopo un po’, quando ci si accorge della fregatura, l’orgoglio ci spinge a farci svegli e a contrattare, fino allo spasimo, per la buona dose di nicotina quotidiana.




Dollaro e Partito, gli dèi di oggi
Spenta una 555 nel posacenere, se oggi fosse vivo Ho Chi Min scuoterebbe la testa. Il suo figlio più caro, il Partito, si è trasformato in una specie di Società per Azioni in cui generali & amici si spartiscono, alla fonte, la gigantesca torta degli aiuti internazionali. La corruzione, tra la polizia e le forze armate, è capillare, e le cifre ingenti che ogni anno giungono dall’Europa e dal resto dell’Occidente non vanno molto oltre Hanoi. Come in tutte le società ‘comuniste’ di inizio millennio sopravvissute, la dura realtà è fatta di una ristretta élite ultramiliardaria - ma che ben sa nascondere le proprie valute forti - e di una stragrande maggioranza che, tenuta buonina con le ideologie spacciate dalla televisione e dalle riunioni di partito, tira la cinghia. Un po’ sull’onda cinese - ma i cinesi sanno essere abili commercianti, da sempre -, il vietnamita medio, oggi, è un individuo a caccia rabbiosa del Dio Dollaro. Non importa se il biglietto verde è il simbolo del nemico di ieri. Oggi i giovani vietnamiti esigono, sognano, appena possono acquistano, nell’ordine: 1) l’ultimo modello di telefono cellulare, con fotocamera e accessori vari; 2) un lettore di cd; 3) un motorino (i più poveri un’imitazione cinese dell’Honda, costo 4-500 dollari; il ‘ceto medio’ un’Honda vera; i più ricchi l’ultima Vespa, con costi da capogiro in un Paese il cui salario medio è fra i 30 e i 50$). Un’automobile è alla portata esclusiva dei veri ricchi, anche grazie alle tasse di importazione - non esistono auto di produzione vietnamita -, ultimamente aumentate del 300%.


Dopo il viaggio di Clinton, qualche anno fa, il Vietnam ha ufficialmente ripreso i contatti con l’Invasore: il futuro è quel mix di socialismo sventolato e di capitalismo applicato, alla cinese. La zona centrale del Paese in cui, negli anni Settanta, si combatterono le battaglie più atroci, oggi è diventata meta di escursioni turistiche organizzate, sia per i reduci nostalgici (di che?) sia per i semplici turisti annoiati. Lo stesso vale per i tunnel usati dai vietcong a Cu Chi, nei pressi di Saigon. Allargati ad hoc per farci passare i corpi più robusti dei turisti occidentali, oggi sono una meta gettonatissima, dov’è possibile sperimentare il brivido di sparare contro un bersaglio con un M-16 per 1$ a cartuccia (sempre in un Paese il cui salario medio…).  L’America, dunque, seppellite le ideologie e gli odi nei musei - anch’essi divenuti dollarifici per lo Stato, grazie al cospicuo numero di visitatori stranieri -, oggi è principalmente la fabbrica dei dollari, dunque un amico da non lasciarsi scappare. E siamo tutti americani, in quanto portatori di lineamenti occidentali e, soprattutto, di biglietti importanti. Il Vietnam si è trasformato in un Paese in cui chiunque lavori con il turismo vede l’occidentale innanzitutto come un portafogli cui attingere un dollaro, oggi, adesso. Il recente boom economico - o, meglio, la recente apertura -, non basato su una tradizione capitalistica di lunga data, ha fatto sì che chi vuole guadagnare con gli stranieri non abbia la minima lungimiranza commerciale. Ciò che importa è fatturare adesso, senza pensare al fatto che domani, magari lavorando con un po’ di strategia e di gentilezza, si potrebbe ricavare il triplo. Dunque un’infinità di piccole truffe (sigarette al doppio del valore, appunto), di bugie, di hallo-moto(r)bike? a ogni angolo di strada, ossessivamente. Il turista medio, però, di teatrini commerciali ne ha già macinati parecchi in vita sua, per cui, dopo un periodo iniziale di cortesi no, grazie, inizia a sviluppare una certa ostilità nei confronti dei piazzisti di ogni cosa piazzabile (moto, taxi, frutta, giornali, libri, caramelle ecc.), a maltrattarli o a ignorarli.


Chi conosceva e amava il Vietnam di cinque anni fa, fatto di gente semplice e carina, e oggi vi ritorna, non riesce a non storcere il sorriso. Troppi motorini, troppe case in costruzione, troppe fregature, troppa voglia di vendere. E troppo poco misticismo, nonostante l’abbondante numero di buddisti, cattolici, protestanti e, nella regione del Mekong, musulmani. Siamo d’accordo, tutti abbiamo diritto a un migliore tenore di vita, di ottenere qualcosa di più, soprattutto se reduci da guerre e ideologie impolverate, e se posti di fronte a nostri simili che in un giorno spendono quello che noi guadagniamo in tre mesi. Ma, se vogliamo giocare al piccolo imprenditore, qualcuno dovrebbe insegnarci che, se oggi vendiamo un pacchetto di sigarette al giusto prezzo, e non al doppio, probabilmente domani quel cliente, anziché scomparire per sempre, tornerà e ci comprerà un intero scatolone di 555. Lasciandoci pure la mancia.

Pubblicato su Smoking


ALTRE FOTO del Vietnam su:
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