lunedì 7 maggio 2012

COSTARICA - TASSISTI DAVVERO LADRI


Tassisti ladri, qualche volta pensiamo, quando a fine corsa dobbiamo aprire il portafogli e arriva il sala$$o. In Costarica questa frase, a volte, per fortuna di rado, va presa alla lettera. Non tanto per l’esosità della corsa, ma perché il tassista è un ladro, travestito da altro. Se viaggiate in autobus fate grande attenzione ai bagagli mentre siete in fila alle biglietterie delle autostazioni, anche quelle piccole. A San José imperversano i finti tassisti che, in combutta con i ladri, vi fanno volatilizzare il bagaglio in una frazione di secondo. Qualche tempo fa ero nella sala d’attesa dell’autobus per Ciudad de Panamá, quando sento urla da Quartieri Spagnoli provenire dall’esterno. Una donna guatemalteca, in attesa di un altro autobus, ha beccato un tassista che si sta dileguando con un passeggero che ha appena prelevato la valigia di una famiglia di nordamericani in fila per fare il biglietto. La donna deve avere tendenze suicide, tanto da essersi piazzata davanti al cofano del taxi, piazza Tienanmen-style, così da impedirgli di ripartire. Manovra davvero rischiosa, in una città in cui i mariuoli non ci pensano due volte a prelevare la tua vita, oltre ai tuoi averi, se reagisci. A San José, nel dicembre 2006, Giorgio Gallo, uno studente di Cosenza, fu ucciso con due colpi di pistola da due pezzi-di-mierda che volevano rubargli il computer portatile. Anch’io, negli ultimi tempi, devo aver sviluppato tendenze suicide.  Quando incappo in qualche porcata del genere mi si gonfia la vena, sempre che qualcuno non mi tenga calmino con una calibro 38 puntata sulla medesima vena. Di truffe e truffette ne ho viste troppe, la mia tolleranza politica si è esaurita da tempo.
Corro fuori e apro una portiera del taxi, quella del ‘posto del morto’, di fianco al tassista. Urlo cose ispaniche-bolognesi, minacciando di spaccargli la portiera se prova a partire (il chofer ha già ingranato la prima e sta sgasando, ma in Costarica le portiere nuove costano). Tassista e passeggero mi mandano occhiatacce inceneritici, ma non reagiscono fisicamente, anche perché ormai intorno all’auto si è creato un capannello di gente incarognita. L’auto rimane dov’è, con il suo carico umano di malavitosi all’interno. Dopo un bel po’, troppo bel po’, finalmente, arriva la polizia.


Nella mia ingenuità, alimentata da troppi film americani (sono un avido spettatore della mitica Cops®), mi sogno che le forze antidisordine puntino un cannone alla tempie dei due, li facciano scendere naso incollato all’asfalto e li ammanettino, tenendoli fermini con un ginocchio conficcato a metà spina dorsale. In realtà i due sbirri, giunti in moto, devono essere due di coppe appena usciti dall’accademia. Sbirri timidi, se mai può esistere il genere. Si limitano a fare un’indaginetta all’acqua di rose fra i presenti, ad annotare la targa del taxi, a chiedere a me e alla guatemalteca che cos’è successo. I gringhi proprietari della valigia non riescono a raccontare granché, parlano solo inglese e i poliziotti solo spagnolo. Ma che cippa aspettano a portarli in gattabuia? Sembrano tergiversare per l’eternità. La guatemalteca racconta loro di come i due avessero un palo, una donna che, vista quale piega aveva preso la giornata lavorativa, ha pensato bene di dileguarsi dopo che avevamo fermato il taxi. 
Visto che non succede nulla, ne approfitto per fare una foto all’autista, che mi uccide a parole, cui rispondo con una serie interminabile di hijo de puta! Per fortuna non scende e non mi macella, come senz’altro avrebbe fatto se la sua auto ormai non fosse circondata da mezzo quartiere, lì a ficcanasare. Uno spettatore mi maltratta a chiacchiere, sventolando una pseudo-giustificazione nazionalista del lavoro del tassista e del suo socio, i due tengono famiglia, in un proclama lampo anti-gringos e pro-latinos. Gli rispondo che la mia non è una crociata anti-ticos (i costaricani), che anch’io penso che il pueblo jamás será vencido, ma che un ladro è un ladro (ed eventualmente pure un hijo de puta), sotto qualunque bandiera si trovi a operare.
Alla fine la cosa sembra sbloccarsi. Il taxi e il suo carico viene scortato dai due poliziotti al commissariato più vicino. La guatemalteca li segue per fare una deposizione scritta, io rimango lì a ricevere i thanks dei gringhi (purtroppo niente dollaroni sonanti; ma in America non è fisso il 15% di mancia??) e a prendere il mio bus dopo breve. Con la convinzione che, compilate le scartoffie, e passata una notte in gattabuia, i due saranno rilasciati il mattino seguente.
Finito il teatro, rientro nella sala da aspetto dove mi rendo conto che, preso dalle scalmane per la sceneggiata, quando sono uscito in strada a difendere le valigie altrui ho bellamente dimenticato le mie - computer, macchine fotografiche, passaporto, tutto - nella saletta, a disposizione del primo pellegrino che passa. Mi è andata bene, benissimo. Oltre a non essere stato freddato, nessuno ha toccato le mie cose. Oggi deve essere il mio giorno fortunato. Però, la prossima volta, non lo faccio più, lo giuro.

Nessun commento:

Posta un commento