venerdì 3 agosto 2012

BRASILE - MI MANCHI, JORGE AMADO!


Agosto, tempo di sudori e di ricorrenze. In questo caldo mese nasceva il più grande scrittore brasiliano, in questo mese moriva. Ecco l'intervista, d'antiquariato (classe 1994), che mi concesse. 
Vai com Deus, Jorge!

Il 14 gennaio del 1994, con la scusa di Frigidaire (su cui fu pubblicata) e dopo una telefonata balbuziente (per l’emozione) allo scrittore in persona, riuscii a strappargli un’intervista, A CASA SUA. Quel giorno trascorsi un’ora indimenticabile nella casa-giardino del mio Eroe di carta, con la moglie Zélia (anche lei scrittrice, di origine italiana) e ci bevemmo persino un guaraná. Dal SUO bicchiere, dal SUO frigo. Nonostante l’emozione, annotai tutto su un taccuino. È stato uno dei momenti più belli della mia vita.




Bacalhau (Baccalà) mi accoglie al numero 33 di Rua Alagoinhas, a Salvador de Bahia, ringhiandomi ferocemente dai suoi trenta centimetri di altezza. Bacalhau è il cane di Jorge Amado, il più famoso scrittore baiano, in patria e all’estero. Agli ordini del suo padrone, ‘baca’ si tranquillizza e, dopo un bicchiere di guaraná, ci lascia cominciare l’intervista.
  D.- Che cosa pensa della vasta opera di ristrutturazione che si sta effettuando nel Pelourinho (il centro storico di Salvador)?
  R.- Sono totalmente favorevole. Come saprà, ho vissuto in quella zona per un certo periodo, dal 1926, quando avevo quattordici anni. Abitavo in una casa che oggi è stata trasformata nell’Hotel do Pelourinho. Allora il ‘Pelò’ aveva un’estensione doppia di quella odierna. La città aveva una popolazione di quattrocentomila abitanti. Poi è cresciuta, in maniera totalmente assurda, non prevedibile, senz’alcuna forma di pianificazione. Il ‘Pelò’ è sempre stata una zona di emarginazione, dove si potevano trovare le prostitute più a buon mercato. Il governo locale, di conseguenza, non si era mai interessato alla conservazione di questa zona, lasciandola andare completamente in malora. I muri delle case marcivano e gli unici tentativi di preservazione, mal riusciti, erano quelli di dare, ogni tanto, una mano di tinta agli edifici. Ovviamente non durava, e le case erano sempre più decadenti.
Da quell’epoca la popolazione di Salvador è quintuplicata, e le agenzie immobiliari hanno devastato il panorama. Basti pensare al tratto che congiunge la piazza di Campo Grande alla spiaggia della Barra. Allora, lì, c’erano solo belle villette di un piano. Arrivando via mare, dalla Bahia de Todos os Santos, si vedeva un presepio: oggi si vede un obbrobrio, composto da grattacieli e condomìni di lusso. Il Pelourinho veniva lasciato marcire dagli agenti immobiliari, che così potevano ricostruire sulle rovine e ottenere il lucro più immediato. Al governo, locale, regionale e nazionale, non gliene fregava niente. Il livello culturale dell’élite che poteva fare qualcosa era assai basso, c’era una totale mancanza di coscienza del potenziale valore culturale, turistico ed economico di questa zona antica, un tempo luogo di punizione degli schiavi.
Con la crescita della città, un tempo bellissima, oggi trasformata in campo di lavoro e in teatro di miseria, si è iniziato a pensare di rivitalizzare la zona. Quando il ‘Pelò’ è stato dichiarato ‘patrimonio storico dell’umanità’, già rappresentava da lungo tempo il maggiore valore monumentale del popolo baiano. Inizialmente, dunque, si voleva - in maniera totalmente demagogica - preservare la zona, mantenendo lo stesso tipo di persone che vi abitavano. Ciò, ovviamente, non poteva funzionare. Il restauro di oggi è opera esclusiva dello stato della Bahia - nessun aiuto a livello nazionale -, ed era da lungo tempo che molti lo aspettavano.
  D.- Perché si è ritardato così tanto?
  R.- Perché in Brasile non esiste una cultura politica. La nostra élite politica è una merda, una porcaria. Nulla viene fatto come andrebbe fatto. Per tutto quel periodo il Pelourinho è stato una facile preda della lotta immobiliare. Inoltre, sono sempre mancati i soldi per attuare un’opera di tali dimensioni. Il restauro di oggi è opera del governo baiano che, finalmente, ha osato sfidare la demagogia. Si sta cercando, credo con successo, di trasformare la vita degradante in vita vera e propria.
  D.- Ma non pensa che l’arrivo in massa dei turisti, e con loro delle amenità relative (ristoranti, negozi, ecc..), in una zona sino a ieri evitata perché considerata pericolosa, distrugga la magica atmosfera di Sudore, uno dei suoi romanzi più importanti?
  R.- Certamente. Ma se con ciò si guadagnano anche migliori condizioni di vita per chi vi abita, creando posti di lavoro, preferisco le pizzerie e i bar alla miseria. Ciò comporta una perdita di ciò che si aveva, ma è un processo inevitabile.
  D.- Ritiene, dunque, che Salvador sia molto peggiorata rispetto al periodo in cui lei era giovane?
  R.- Nonostante tutto, Salvador è ancora una città molto bella. Il suo maggiore pregio sta senz’altro nel suo popolo, ammirevole per la capacità di allegria, di sincerità e di vitalità con cui affronta le miserie dell’esistenza. Tali doti derivano dalla nostra origine, dalla nostra mescolanza. Siamo latini quanto africani. Deriviamo da un’unione tra gli schiavi, gli indios e i colonizzatori portoghesi. La nostra è una cultura mestiça, il cui massimo esempio può essere visto durante la Lavagem do Bonfim, la festa religiosa più importante del calendario baiano. È questa la maggior espressione, a livello mondiale, di cerimonia feticista. È la manifestazione di candomblé che meglio rappresenta la nostra città. Ricorda la prigionia, la liberazione e il bagno che ricevette Oxalá, l’orixá corrispondente nel cattolicesimo al Senhor do Bonfim, il patrono della città. Il sincretismo tra i riti africani e quelli cattolici nacque proprio durante il periodo della schiavitù. Fin da allora la linea più ortodossa e reazionaria del cattolicesimo ha combattuto il sincretismo, arrivando persino a proibire la processione della Lavagem. Quando ero piccolo mi ricordo che il ‘lavaggio’ - vero e proprio, con secchi di acqua profumata e ramazza, a simboleggiare il bagno di Oxalá - veniva fatto dentro la chiesa. Oggi, per il volere reazionario dell’élite ecclesiastica, si fa solo fuori, sulla scalinata di accesso: è questo l’estremo tentativo di una difesa razzista, da parte della Chiesa, della ‘purezza’ religiosa.
In questa bellissima città, però, per fortuna, nessuno è ‘puro’, nemmeno i neri. Sono disposto a pagare una fortuna a qualsiasi baiano, nerissimo di pelle che, presentandosi come discendente puro degli schiavi africani, mi mostri un albero genealogico che non includa un incrocio con qualche altra razza. Gli schiavi africani, provenienti da diversi paesi ed etnie del continente nero, venivano venduti al mercato di Salvador. Già all’atto dell’acquisto il fazendeiro faceva molta attenzione a comprarne non più di uno della stessa etnia o luogo di origine, evitando aggregazioni pericolose. Così nacque il candomblé, quale frutto di una continua contaminazione, assai diverso da quello africano di oggi. Il nostro è piuttosto simile alla santería cubana, ma Cuba è un’isola piccola, mentre il Brasile è un semicontinente di oltre centocinquanta milioni di anime.
  D.- E tra le altre feste popolari, al di là di quelle religiose, quali sono quelle che più rappresentano l’’anima’ brasiliana?
  R.- Nos somos o País do Carnaval. Il Carnevale è la vera festa della cultura popolare. A Rio de Janeiro è uno spettacolo raffinato e stupefacente. Quello della Bahia è il più popolare, il più vicino ai ceti bassi della società, e anche il più autenticamente vissuto. Molto bello è anche quello pernambucano, di Recife e di Olinda, piuttosto simile a quello portoghese. Ciò che è interessante, è vedere come per gli occidentali che arrivano in Brasile per la prima volta, pieni di preconcetti e di idee importate da casa, si accorgono che il Carnevale, così come il Brasile in generale, non sia esattamente ciò che si aspettavano, ma qualcosa di più profondo. L’ho notato anche quando Lina Wertmüller venne qui e mi contattò per fare un film sull’argomento. Arrivò con una sua idea del Carnevale, che non corrispondeva esattamente alla realtà, e presto si ricredette.
  D.- Vedendo la situazione attuale del Brasile, qual è, secondo lei, il maggiore problema del paese? E quali le cause?
  R.- La fame, senz’altro. Ma è demagogico e cieco chi cerca di lottare solo contro di essa, come se fosse l’unico problema, tralasciando gli altri. Non bastano le ‘ceste basiche’ (scatole di alimenti di base, concesse dal governo alle famiglie più indigenti - nda) e piatti di cibo pieni oggi. Credo che tutti i problemi dovrebbero venire affrontati, nel miglior modo possibile, non appena se ne presenti l’occasione. L’origine di tutti i mali brasiliani è, senz’altro, il latifondo. Non è possibile che ancor oggi, alle soglie del Duemila, esistano terre sconfinate, grandi come paesi, nelle mani di pochi uomini. È una situazione da Medio Evo. La gente che fugge dalla miseria del sertão o della provincia, e si rifugia nelle città, pur vivendo da miserabile, facendo lavori umilianti e sottopagati, ne ricava comunque un grande salto di qualità agli occhi dei suoi compaesani, rimasti a lottare contro la siccità e la carenza di lavoro. L’unica soluzione non può che essere una spartizione delle terre.
  D.- Rileggendo i suoi libri scritti nel periodo di maggior impegno politico (come Os Subterraneos da Liberdade), e dopo la disgregazione dei regimi comunisti, pensa che rimangano validi certi princìpi di giustizia sociale?
  R.- Oggi assistiamo alla caduta delle dittature comuniste, e non alla scarsa validità degli ideali che le hanno erette. In Cina il socialismo reale è ancora un dato di fatto, ma viene imposto dall’alto. Per di più non è un socialismo vero e proprio, la contaminazione capitalistica è altamente presente anche là. A Cuba si tenta di sopravvivere, ma l’apertura verso l’Occidente appare inevitabile. In Corea del Nord esiste una specie di adorazione religiosa per il leader comunista, che viene considerato un semidio. Ciò che tutti abbiamo visto, attraverso i media, accadere in URSS, ha rappresentato la caduta di un regime dittatoriale, non l’annullamento del socialismo come valore. Non ha rappresentato l’ultimo, estremo combattimento tra capitalismo e socialismo. Le idee rimangono: molti, ancora, in ogni angolo della terra, hanno una forte saudade di quei valori. Tutti sono d’accordo sul fatto che la dittatura sia finita, che non sia la giusta via per ottenere la giustizia sociale. Ma il sogno di una società più equa, in cui nessuno sia miserabile, continua. Tutti devono avere il diritto di mangiare e lavorare; solo che nelle dittature di stampo sovietico ti veniva imposto quel dato lavoro, per cui, nella pratica, non esisteva libertà. E, anche se a stomaco pieno, la mancanza di libertà non viene accettata da nessuno.
Il socialismo continuerà, perché il capitalismo è una porcaria. L’unica caratteristica buona del sistema capitalista è che, per funzionare, deve poggiare sulla democrazia. Purtroppo si basa anche sul lucro, per cui ne derivano guerre e razzismo. Si sono combattute le dittature per avere la democrazia, e non per abbattere valori di equità sociale.
  D.- In Occidente i giornalisti, quando parlano del Brasile, sembrano metterne in luce solo gli aspetti negativi (favelas, bambini abbandonati, violenza, ecc..); oppure, se parlano di quelli positivi, lo fanno solo in termini di propaganda turistica. Non pensa che ci siano anche altri argomenti positivi di cui parlare?
  R.- È assolutamente vero. Ma anche qui, in Brasile, è così. Basta leggere il giornale, o guardare la tv. Si vedono solo storie allucinanti di violenza o di atrocità. E sono tutte vere, e, come tali, non vanno nascoste. Ma esiste anche un altro lato, totalmente positivo, fatto di creatività, di allegria, di gioia di vivere, di cui nessuno parla. Questo avviene anche qui: non c’è, nei media, al lato delle notizie ‘cattive’, anche una proposta alternativa di quelle ‘buone’, dal momento che chi manovra i mezzi di comunicazione non ha alcun interesse a diffonderle. La notizia atroce suscita la curiosità del lettore-telespettatore ignorante, e fa vendere di più. Ma sono ottimista, nonostante ciò: credo ancora nei buoni e semplici sentimenti del popolo, che nulla hanno a che vedere con la schifosa élite che ci governa.
  D.- Nel panorama politico brasiliano odierno, quali vie di uscita vede alla crisi?
  R.- In pratica non vedo alcun partito politico che possa risolvere i mille problemi del Brasile. Vedo alcuni uomini degni, e altri indegni. Lula, il leader del PT (Partido dos Trabalhadores, di sinistra) è un’ottima persona, ingiustamente accusato di ignoranza e di mancanza di titoli. Ebbene, io vedo proprio in questa mancanza di titoli il suo pregio: è uno che viene dal basso, dal popolo, che sa come stanno le cose. Ma la mia paura, nel votarlo - così come farlo per altri -, è che con Lula potrebbe succedere esattamente lo stesso che è accaduto ai suoi predecessori: cadere nella corruzione. Il potere è il peggiore dei mali, che può dare alla testa di chiunque.
Come scrittore non sono candidato a un bel nulla, e posso permettermi di dire apertamente ciò che penso. Le mie due grandi paure, oggi, sono la corruzione e la demagogia. La ‘classe’ - se così vogliamo chiamarla - che più è degna di rappresentare il volere del popolo, è quella degli artisti, degli scrittori, dei musicisti. Tutti costoro sono molto più rispettati dal popolo, in termini di fiducia, che non un qualsiasi politico. In essi la gente crede più che in qualsiasi partito o simbolo. Caetano Veloso, leader del tropicalismo e il più importante cantante baiano vivente, per esempio, ha una visione ottima, che corrisponde in toto alla mia, di ciò che dovrebbe e potrebbe essere la società brasiliana.
Non esiste più una differenza enorme tra i partiti, quanto tra gli uomini. Alla mia età non classifico più le persone in base al partito cui appartengono , ma per ciò che fanno. In questo senso appoggio Lula, come uomo, competente, e non come leader di un partito. Lui non vuole il potere per trarne vantaggi personali, come la maggior parte dei politici ha fatto sino a oggi. Lui lo vuole per attuare riforme realmente utili alla popolazione. Nonostante rischi l’ubriacatura del potere.
  D.- Programmi letterari per il futuro?
  R.- La mia salute debilitata non mi permette di scrivere quanto vorrei. Comunque, nonostante le difficoltà (medici, visite, ecc.), in Italia e in Francia sta uscendo un mio libro inedito, rimasto a lungo bloccato e non pubblicato in Brasile, sul Sud della Bahia. In Brasile, invece, sta per uscire il mio ultimo romanzo, A descoberta da América pelos Turcos.


pubblicato su Frigidaire



da Tropico Banana

2 commenti:

  1. Che bello! Gostei muito, obrigada. Paloma Jorge Amado

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  2. obrigado à Senhora! fiquei feliz por saber que gostou. com saudade do seu pai, Pietro

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