giovedì 1 novembre 2012

REPUBBLICA CECA - BAGLIORI DORATI


Praga a novembre, inseguendo l’ultima luce d’autunno
  
Praga ammalia in tutte le stagioni: primavera, estate e inverno, ognuna con le proprie caratteristiche - la rinascita della vita la prima, l’esplosione dei colori la seconda, il fascino della neve l’ultima -, rendono indimenticabile una visita a questa città così medievale, europea e giovane al tempo stesso. Ma è tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno più rigido, in novembre, quando le giornate si accorciano, che le poche ore di luce esaltano a pieno lo splendore e il romanticismo di cui edifici, piazze, ponti sono intrisi. Un giallo saturo, con tutte le sfumature dell’oro, del pivo (la birra: qui si beve la migliore del mondo, vedi http://pietrotimes.blogspot.it/2012/01/repubblica-ceca-nettare-dorato.html) e del miele, emana bagliori che, passando attraverso gli occhi, prendono direttamente allo stomaco. Un vago quanto forte senso di nostalgia indefinita, di desiderio di non andarsene più - nonostante la colonnina di mercurio sprofondi abbondantemente sotto lo zero -, di spinta a possedere, oltre che osservare, tutto ciò che ci circonda, ci assale senza tregua.
Praga, non a caso, era una delle mete europee più amate dagli italiani, ma non solo, ancor prima della cosiddetta ‘Rivoluzione di Velluto’ (morbida, senza spargimenti di sangue) che seguì, nel 1989, la caduta del Muro di Berlino e che precedette, nel 1993, l’altrettanto vellutato ‘divorzio’ dalla sorella Repubblica Slovacca. Già allora, infatti, i nostri turisti dovevano affrontare file lumacose agli iperburocratici consolati cecoslovacchi di mezza Europa per ottenere l’agognato visto d’ingresso, ma le loro fatiche venivano premiate con la scoperta di un luogo unico al mondo. Più indietro nel tempo, inoltre, Praga attirò architetti, religiosi, personaggi come il pittore Giuseppe Arcimboldi, che vi trovò una corte reale sensibile alla sua eccentrica e incommensurabile arte, o Giacomo Casanova, venuto appositamente per assistere al Don Giovanni. Oggi, per fortuna, gli intoppi e i veti del periodo comunista sono preistoria, la Repubblica Ceca sembra essere più europea di tanti altri paesi da sempre europei. I giovani di mezzo Occidente la adottano come seconda patria: arte di ogni epoca passata e d’avanguardia, birrerie davvero degne di tale nome, una cucina da non trascurare – conoscendo gli indirizzi giusti, e non le trappole per turisti - (da non mancare come accompagnamento i knedlíky, gnocchetti di pane e latte), il lugubre fascino medievale dei pruchody (passaggi segreti tra le buie viuzze acciottolate) e una forte rinascita economica costituiscono, nell’insieme, una miscela irresistibile.





Giallo, ocra, rosso
L’arcobaleno dei colori di primo inverno, a Praga, sembra restringere la propria gamma, concentrandosi tra il giallo e il rosso. Questo fenomeno, se le nuvole non ci sono avverse e se si evitano i quartieri periferici (il grigio del cemento postbellico), è onnipresente nel centro storico, attraversato dalla Moldava, in questo periodo anch’essa ricca di toni ramati. Hradčany (il quartiere del Castello e della Cattedrale di San Vito), Malá Strana (la ‘Città Piccola’), Staré Mesto (la Città Vecchia), l’isola artificiale di Kampa e l’attiguo lungofiume: tutti luoghi in cui l’architettura e la storia, pienamente valorizzati da una luce calda e morbida, intensa e soffusa al tempo stesso, ci proiettano nel passato, nonostante lo sferragliare dei tram, il correre delle auto, il vociare dei turisti. Basti scorgere, per esempio, i fregi policromi, spesso dorati, sulle facciate delle case barocche e liberty di Malá Strana, molte delle quali contraddistinte da figure in rilievo che, in passato, sostituivano la numerazione civica indicando, al tempo stesso, la peculiarità del luogo o il senso estetico dell’inquilino (violini, cigni, il sole, gamberi, santi, coppe, chiavi dorate...). Se osservato dall’alto del colle Petřín, l’altura che domina la città (dove troviamo una copia della Torre Eiffel), il quartiere di Malá Strana, con i suoi tetti rossi, ci infonde una sensazione che, se fossimo in Portogallo, non esiteremmo a definire come saudade. Gli stessi tetti, tutti con forme diverse, tutti rossi, tutti con sfumature mai uguali, li rivediamo più da vicino, una volta saliti sui sessanta metri della Torre del Municipio, nel cuore di Staré Mesto. Da qui, stretti tra gli angusti passaggi in pietra e colti da una certa vertigine, si ha l’idea di dominare l’intera città: ai nostri piedi, nella Piazza della Città Vecchia (Staroměstské náměstí), si ergono la Chiesa di San Nicola, il Palazzo Kinských (sede della Galleria Nazionale), il vecchio Municipio con l’ipnotico Orologio Astronomico (orloj) - nessun visitatore riesce a sfuggire dalla tentazione di ammirare, bocca aperta e mento all’insù, il meccanismo che scandisce le ore, con il corteo degli apostoli e le figure allegoriche del Paganesimo, dell’Avarizia, della Vanità e della Morte -; ma anche la Scuola e la Chiesa di Týn, quest’ultima, con le sue torri dalle guglie aguzze, apparentemente uscita da un film di Walt Disney a base di fantasmi e vampiri. Nella piazza, soprattutto nel tardo pomeriggio, ogni cosa sembra animarsi con i bagliori dorati: perfino la tetra facciata della Chiesa di Týn o la statua dedicata a Jan Hus, il patriota e riformatore religioso che nel Quattrocento venne arso vivo. In questa piazza ritroviamo quella mescolanza di stili che contraddistingue Praga e che la rende così affascinante: il barocco, il rococò, il gotico, il neogotico e il liberty qui convivono in assoluta armonia. Il liberty (secese, in Boemia – vedi ), in particolare, con i suoi arabeschi dorati disseminati un po’ dovunque, visse in questa città uno dei suoi momenti migliori. Nella regione divenne, seppure per un periodo piuttosto breve, lo stile dominante per mano di Alfons Mucha. Praga, infatti, è ricchissima di edifici dell’Art Nouveau, come quello dell’Hotel Europa (per l’esattezza in stile Jugendstil), nella più moderna - rispetto alla Città Vecchia - Piazza San Venceslao, pregna di storia (vi convivono la statua equestre del santo, protettore dello Stato boemo, e il ricordo di Jan Palach, lo studente che qui si diede fuoco all’arrivo dei carri armati sovietici), oltre che di negozi, traffico e persone in perenne movimento.













La quiete del fiume, la solennità del Castello
Ma il fascio di luce gialla non illumina solo le piazze. Per inseguire le sue orme dorate basta raggiungere la Moldava e il neorinascimentale Teatro Nazionale, e costeggiare il lungofiume. Qui, soprattutto lungo Masarykovo nábřeží, le facciate art nouveau sembrano fare a gara in quanto a originalità e fantasia, la Torre dell’Acqua - con l’attiguo museo dedicato a Smetana - si staglia nel cielo con la sua tinta da tramonto e, ponte dopo ponte, si raggiunge Kampa, la tranquilla isola che tanto fu amata da Bohumil Hrabal, uno dei maggiori scrittori cechi (il suo Ho servito il re d’Inghilterra, dopo un primo impatto traumatico con la totale assenza di punteggiatura, ci dà l’idea di quanto una città come Praga possa sviluppare il lato artistico dell’animo umano). Qui, tra case d’altri tempi adattate al comfort del Duemila, l’intonaco giallo ci comunica pace e quiete, e le acque del ruscello Čertovka (‘Diavolo’), nonostante il nome poco rassicurante, ci fanno immaginare i mulini che, in passato, agitavano le pale. Alla base di Kampa si snoda una delle tante meraviglie di Praga: il Ponte Carlo. Sarà perché collega i due punti principali della città - quella Vecchia al Castello -, per i turisti che osservano i gabbiani e per i gabbiani che osservano i turisti, per le trenta splendide statue dei santi che sembrano scrutarci dall’alto al nostro passaggio, per il costante flusso di umanità cosmopolita, oppure ancora per il bagliore emanato dalle dorature del Cristo in Croce o di un rilievo che, sfregato, si dice porti fortuna. Sia come sia, il Ponte Carlo emana energia, e c’è addirittura chi, conscio di ciò, ogni venerdì all’alba lo percorre con assoluta lentezza, per assorbirne la ‘positività’. Misticismo, bioenergia, architettura e luce, soprattutto qui, creano una miscela magica. Tali sensazioni sono meno percettibili se saliamo su una delle due torri Mostecké situate alle estremità - Praga è detta la ‘città dalle cento torri’ (cento guglie, secondo altri) -, ma il punto di vista ancora una volta privilegiato, dall’alto, permette di apprezzarne il valore pratico, di insostituibile anello di congiunzione tra le sponde della Moldava. Il ponte fu inaugurato da Carlo IV, re boemo, nel 1537, e come molti altri luoghi o costruzioni della città, vanta una leggenda. Si narra, infatti, che la solidità della sua struttura sia dovuta a un singolare impasto tra calce e uova, e che i borghesi della città di Velvar, ‘tassati’ dal re come tutti gli altri per la costruzione del ponte, però inviarono uova sode, affinché non si rompessero durante il viaggio. Grande fu la sorpresa dei manovali che ricevettero il materiale… bollito.
La tappa finale di questo itinerario all’inseguimento del giallo e dell’oro non può che essere verso l’alto, il punto da cui la luminescenza si diffonde. La Città Alta, Hradčany, con l’imponente Castello e la Cattedrale di San Vito, che dominano tutto e tutti: non a caso qui sono concentrati gli edifici del potere - come la residenza del Presidente -, e l’atmosfera unisce singolarmente quella di una monumentale città fantasma a quella del borgo antico, ravvivato a tratti da agguerrite orde di turisti (le spinte per assistere al cambio della guardia non si contano) e da rapidi e misteriosi passaggi di lussuose auto delle ambasciate. La solennità della Cattedrale - alta 97 metri, ci costringe di nuovo ad alzare gli occhi al cielo -, è smussata e addolcita dalla luce e dalle ombre che si formano tra i rilievi della facciata. All’interno, ci attende un altro gioco di luci: quello delle vetrate policrome. A pochi passi si erge l’imponente Castello, lo Hradscin che oggi, tra corridoi interminabili e gallerie illuminate attraverso ampie vetrate ricavate nelle volte, ospita il Presidente. Il poeta Viteszlav Nezval ha così descritto il Castello: “Chi guarda dalle finestre del palazzo si sente come precipitare tra i flutti di quel mare di luce”. Ancora una volta Praga ci guida e si svela, attraverso la luce, con il giallo, l’ocra, il rosso.








Pubblicato su Qui Touring

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