venerdì 1 marzo 2013

NEPAL - BUON COMPLEANNO, SHIVA!


La grande festa di Maha Shivaratri, come ogni mese di Falgun, a Kathmandu

Fin dall’antichità Nandi, il toro sacro di Shiva, si inginocchia all’entrata del tempio di Pashupatinath. Situato alle porte di Kathmandu (3-4 km), il santuario è uno dei luoghi più frequentati dai fedeli indù nepalesi ed è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. All’interno, una struttura a forma di pagoda circondata da porte d’argento sontuose racchiude l’effigie più riverita del Paese, alla quale il tempio è dedicato: la statua di Shiva. L’entrata è riservata ai fedeli indù ed è tassativamente proibita agli occidentali, anche se agli stranieri è concesso aggirarsi all’interno della vasta area esterna che si snoda lungo il percorso rituale. Le statue, le zone di riunione e di riposo, le strutture architettoniche, i giardini e i ghat (gradinate sacre) formano assieme al tempio principale uno dei luoghi più frequentati dal turismo, religioso e non, della valle di Kathmandu.





Sembra che il tempio principale sia stato eretto nel 1359 durante il regno del re Supuspa Dev, anche se i seguaci di Shiva sono soliti narrare leggende ben più spettacolari e fantasiose. Si dice che Shiva, sotto forma di cervo, usasse nascondersi nella foresta in cui oggi si trova Pashupati - così il nome del complesso viene solitamente abbreviato. Gli dèi, dopo averlo scoperto, lo trascinarono per il corno che, spezzandosi, si trasformò in un lingam (simbolo fallico). Dopo il ritrovamento di quest’ultimo, avvenuto in circostanze miracolose, la zona fu trasformata nel santuario di Pashupati, Signore degli Animali e tutore delle anime. In onore a Shiva, in questa stessa zona, nel 1416 il re Jaya Jyoti Malla costruì un tempio che fu parzialmente distrutto dalle termiti. Nel 1655 la regina Gangadevi ne ristrutturò i primi due piani e re Bhupalendra Malla, nel 1697, ricostruì il tempio nella sua totalità. Per i pellegrini e i devoti, alcuni dei quali giunti fin qui dopo viaggi di migliaia di chilometri (molti dall’India), però, l’architettura e la storia hanno ben poca importanza: il darshan, la comunicazione con Shiva, è il motivo principale del loro interesse.








Maha Shivaratri, la 'notte di Shiva'
Durante il mese di falgun (o phalguna, febbraio/marzo, nel calendario nepalese) in tutto il Nepal si celebra la nascita di Shiva con cerimonie imponenti nei molti templi costruiti in suo onore, ma la festa più importante è quella di Maha Shivaratri (‘la Grande Notte di Shiva’), nella notte senza luna di questo periodo (il 10 marzo, nel 2013). A Pashupati la fila di persone che desiderano ottenere il darshan inizia il giorno prima ed è lunghissima. Due catene apparentemente infinite di fedeli, composte da uomini e donne rigorosamente separati, si snodano attraverso il sentiero che circonda il tempio. Migliaia di persone regolate dalla polizia stanno in coda fino a sei ore allo scopo di offrire il puja (preghiera) e fare il bagno nel sacro Bagmati, il fiume che attraversa il complesso. Il loro fine ultimo è quello di raggiungere il cuore del santuario e vedere l’immagine sacra. La processione continua anche il giorno successivo, quando i fedeli fanno ritorno ai luoghi di origine.








Lo sguardo degli stranieri è attirato soprattutto dal fumo delle cremazioni, il cui odore acre può far fuggire i più deboli di stomaco. Gli addetti alle pire, man mano che i corpi si consumano, aggiustano ciò che ne rimane per arderlo al meglio, risparmiando più possibile l’ormai raro e costoso legname. Le ceneri scorrono quindi lungo le acque del sacro Bagnati. Alle cremazioni non-stop fa da sfondo un continuo brusio di voci, preghiere, tamburi, flauti, campane, tablas e altri strumenti suonati da orchestrine improvvisate. Donne avvolte in sari lucenti, uomini in abito tradizionale, mendicanti di tutti i tipi costeggiano ogni sentiero, giardino e area di ritrovo di Pashupati. Il cibo viene spartito fra vicini e amici, i fuochi - per riscaldarsi e cucinare - sono accesi un po’ dovunque. I giorni che precedono e seguono la notte dedicata a Shiva vedono la zona che circonda il tempio trasformarsi in una grande mela, fiera religiosa con viuzze stracolme di gente, bancarelle, turisti. Alcuni venditori espongono kit di offerte da abbandonare alla corrente del fiume, collane di fiori e collane sacre (rudraksha), incensi, polveri colorate (la rossa tika), immagini raffiguranti il pantheon degli dèi indù. Qualche scimmia, ogni tanto, fa capolino cercando di rubare le offerte in cibo. Alla mezzanotte del giorno prestabilito lo Shivaratri inizia ufficialmente con i bramini, i preti del tempio, che fanno offerte all’interno del complesso religioso. Per tutta la notte i fedeli raccolgono l’acqua tra i palmi delle mani e la portano all’interno del tempio per offrirla alla stele di pietra, al lingam simbolo di Shiva. Oltre all’acqua vi gettano fiori. Il mattino seguente i bramini cominciano a leggere i testi sacri, fino a circa mezzogiorno, quando hanno inizio i canti religiosi. Accompagnati da un gran numero di tablas e di sitar, i canti sacri sono intonati dai musicisti professionisti venuti dal Nepal e dall’India.

Sadhu o Yogi, gli asceti e il ‘fumo sacro’
La festa di Shivaratri è anche un’occasione per incontrare numerosisadhu, asceti che vivono di preghiera ed elemosina. Molti di essi, soprattutto nelle zone di Kathmandu più frequentate dal turismo (Durbar Square e dintorni), si sono specializzati nella posa fotografica, in cambio di laute offerte, come modelli per i turisti. Non sono pochi quelli che vanno orgogliosi di essere apparsi su cartoline, libri, guide turistiche o pubblicità. Alla festa di Shivaratri, tuttavia, i sadhu posticci sono ‘mosche bianche’ rispetto alle decine che, spinte da una fede genuina, arrivano a Kathmandu da tutto il subcontinente indiano. Durante l’esistenza terrena i sadhu autentici tentano di incarnare Shiva ricoprendosi di ceneri e lasciando crescere i capelli. Seminudi, spesso sono accompagnati da un tridente (l’arma-simbolo di Shiva) e da una ciotola di ottone. In teoria dovrebbero rinunciare ai beni terreni e a ogni conforto. Con la mente lontana dai problemi quotidiani, ricercano l’unione con Shiva.



Molti di essi sono maestri di yoga e, durante la festa, offrono letture sacre ai fedeli e danno spettacolo attorcigliandosi gambe e braccia attorno al collo. Altri passano ore meditando, rotolandosi nelle braci accese, trafiggendosi la lingua e le carni con spilloni. Alcuni, nella ricerca dell’Illuminazione, fumano buone quantità di marijuana o di hascisc in grandi cylum nella convinzione che anche Shiva avesse ottenuto beneficio dall’uso di tali sostanze. La marijuana, infatti, è inclusa nei ‘Sedici Elementi per la Venerazione di Shiva’, un elenco di regole da seguire per venerare questo dio. Il Maha Shivaratri è una delle pochissime occasioni in cui le leggi rigorose contro il consumo di droga, non di antica istituzione in Nepal, sembrano non aver alcun effetto. L’odore dell’hascisc si mescola a quello degli incensi, delle pire ardenti per le cremazioni e dello sterco di vacca essiccato e arso nei i fornelli delle cucine improvvisate: la legna, vista la deforestazione selvaggia, ormai scarseggia. I bramini, vestiti con abiti color ocra, dedicano le loro vite a intonare i canti delle Sacre Scritture, celebrano i matrimoni e le cremazioni. Al contrario dei sadhu, però, a essi non è concesso il fumo: ogni sostanza stupefacente, per loro, è proibita.



Anche in India
Nella vicina e grande India il Maha Shivaratri è festeggiato soprattutto nell’Uttar Pradesh, il quattordicesimo giorno di mezza luna del mese di Margasirsa (febbraio-marzo). Si dice che questo momento corrisponda al giorno in cui Shiva, dio della Trimurti (assieme a brama e Vishnu), dio ‘Distruttore’ e al tempo stesso ‘Riproduttore della Vita’, sposò Parvati. Per molti fedeli Shiva è un dio che dispensa benedizione e protezione spirituale e materiale. Nel giorno dedicatogli, i credenti seguono uno stretto digiuno, perfino d’acqua. Il lingam che lo rappresenta viene adorato per tutta la notte ed è lavato ogni tre ore con il latte, lo yogurt, il miele e l’acqua di rose. Gli vengono offerte foglie di betel, nelle quali, si dice, vive la dea Lakshmi. Chi, tra i fedeli, si dimostra buon devoto durante questa ricorrenza viene liberato da ogni peccato. In questo modo raggiunge Shiva e vive con lui felicemente, libero dal ciclo delle rinascite.



Shiva e Parvati

SHIVA - Terzo dio della Trimurti, incarna la fertilità e la distruzione al tempo stesso. Il suo simbolo è il fallo (lingam), e ha sempre un tridente (trisul) fra le mani o attorno a sé. Talvolta è raffigurato come androgino (Ardhanisvara): la parte blu maschile, quella gialla femminile (questa rappresenta la sua shakti Parvati). Ha un terzo occhio, l’Occhio della Conoscenza, da quando sua moglie, Parvati, per gioco lo ha bendato, precipitando l’intero universo nell’oscurità (è a ricordo di questo occhio che gli indiani si applicano un pallino o una goccia rossa o bianca sulla fronte, il tilak, simbolo anche di ogni donna sposata). Il suo veicolo è il toro sacro Nandi e i suoi capelli, raccolti in lunghe trecce, formano una specie di tiara sul cranio, ornata con una falce di luna. Shiva viene rappresentato in diverse forme, variabili da luogo a luogo: può essere visto come Nataraja, re della danza, dove questa simboleggia la sua duplice azione distruttrice e creatrice; come asceta, seduto su di/vestito con una pelle di tigre, mentre medita sul monte Kailash (Himalaya) e fuma hashish. In Nepal appare come il pacifico Pashupati, Signore degli Animali e di tutte le cose viventi, oppure come il terribile Bhairab - il quale, a sua volta, può avere ben sessantaquattro rappresentazioni, tutte negative -, mentre danza su un corpo e indossa una collana fatta di teschi. Bhairab solitamente è nero, tiene in una mano una coppa ricavata da un teschio umano e il suo veicolo è un cane. Shiva è marito di Parvati (Devi) ed è padre di Ganesha (il dio Elefante) e di Kartikeya (dio della Guerra). È anche noto come Mahadev (il Grande Dio).



PARVATI - Shakti (controparte femminile) di Shiva, è una bella dea e costituisce l’elemento dinamico nella loro relazione, simboleggiata dalloYoni, l’organo sessuale femminile. È nota anche come Mahadevi (la Grande Dea). Parvati, così come Shiva, può avere diverse forme: Kali, la terribile Dea Nera, la più terrificante delle divinità, la quale richiede sacrifici di animali e indossa una collana di teschi; è la dea del terrore e delle disgrazie sanguinose (nasce nel Sud dell’India, un tempo tormentato da invasioni ed epidemie). Parvati può apparire anche come Durga: la controparte di Kali, anch’essa terribile, possiede da otto a trentadue braccia, nelle quali impugna armi diverse. È in lotta con i demoni, e cavalca un leone (o una tigre). Il suo nome significa l’Invincibile o l’Inaccessibile; in nome di lei la setta dei Thug faceva sacrifici umani. Parvati, inoltre, si incontra anche sotto forma di Uma (dea Luce), Gauri (dea benefica, la ‘Gialla’), Annapurna (dea del Nutrimento). È figlia di Himalaya (padre) e di Mena, ed è madre di Ganesha e di Kartikeya.





Pubblicato su Qui TouringSmoking

 


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